La storia nasce su un’isola lontana quanto basta dai pensieri. Un’isola difficilmente frequentata da re, fate, tronisti, soubrette e altre forme di e magiche e catarifrangenti creature. La storia nasce dentro un carcere. Lì un gruppo di invisibili decide di appropriarsi dei codici del palcoscenico e spostare i riflettori della fiaba. Nessuna televisione. Pochi, pochissimi giornali. Eppure, grazie alla rete la narrazione va avanti. Solo su facebook il gruppo dell’ “Isola dei cassintegrati” ha circa 100mila sostenitori. Dietro quel gruppo ci sono i lavoratori che si sono auto-reclusi nel carcere dell’Asinara. Sono i cassintegrati della Vinyls di Porto Torres, che da 82 giorni portano avanti il loro contro-reality sul dramma della disoccupazione. Perché in una Repubblica che si dice ancora basata sul lavoro, la perdita dell’occupazione è anche isolamento dalla società civile, dal proprio futuro e forse dalla possibilità stessa di dare un senso alla propria vita. Perché in tempi di crisi il TG1 dedica solo il 7% ai problemi del lavoro, contro il 21% di BBC One o il 41% di France 2.
Nelle fiabe di solito sono i buoni a vincere e i cattivi ad avere la peggio. All’Asinara non si hanno queste certezze. Ma se qualcuno vincerà, sarà il termine “condivisione” a soppiantare per una volta quello di “successo”. Come ogni fiaba però, anche quella dei cassintegrati di Porto Torres è fatta per insegnarci qualcosa.
La prima lezione è che forse una partita è persa. I lavoratori hanno inizialmente definito come “ectoplasmi” i sindacati. Ho 30 anni per me i sindacati non sono mai esistiti e non credo che la mia opinione differisca da quella di molti altri coetanei. Inefficienze, privilegi e reticenze a parte, la gestione dei conflitti si è fatta più difficile per molte ragioni. Da un punto di vista prettamente di comunicazione, i conflitti faticano a entrare nell’agenda mediatica della contemporaneità. Dimenticando le censure evidenti imposte dalla situazione di italico surrealismo, non c’è una macronarrazione o una paura di fondo che sostiene le rivendicazioni dei lavoratori e le rende appetibili per un pubblico di massa. Le macronarrazioni e le paure erano costituite dalle vecchie ideologie e dalle vecchie prospettive di “progresso” e stato sociale. I lavoratori di Porto Torres hanno definito chiaramente questo stato di isolamento: "Perché c'è l'Italia dei famosi e quella di chi sta perdendo il posto di lavoro, noi rappresentiamo quest'ultima e ci fa un po' rabbia che per avere visibilità ci siamo dovuti inventare una parodia della televisione e affidare la nostra iniziativa a Facebook” dichiarava uno di loro all’inizio del contro-reality.
La seconda lezione è quello dell’ingresso definitivo del marketing virale e di guerriglia in ambiti anche assai distanti da quello che è il mondo pubblicitario. Per Guerriglia marketing si intende un’azione di marketing non convenzionale volto a promuovere un prodotto, un’idea , un concetto. Nasce negli anni ’90 quando ci si accorge che i consumatori sono ormai assuefatti alle forme di comunicazione monodirezionale. Si sceglie allora di intercettarli in contesti assai diversi, dove non si aspettano di trovare il messaggio pubblicitario sviluppandone feedback e interattività. Oggetto di guerriglia marketing può allora diventare ogni tipo di oggetto, dalle false banconote per strada a un adesivo luminoso sulla superficie di un wc pubblico. Quel che conta è generare curiosità e visibilità ; visibilità che si può tradurre in un vero e proprio tam tam fra i consumatori che (anche tramite i nuovi media) può aumentare esponenzialmente tanto da essere definito “virale”. Il tentativo è quello di sovvertire o esaltare i codici dello spettacolo, ovvero di ciò che Gui Debord definiva in questi termini: “Lo spettacolo non è un insieme di immagini ma un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini “. Gli operai di Porto Torres stanno cercando di entrare in questo rapporto o di sabotarlo a loro vantaggio. Credo che non sarà il primo esperimento di questo tipo. Credo che chi di dovere dovrebbe mettere due piedi nel 2010 e staccarsi dagli anni 60’-70’di tanto in tanto.
Non so come finirà. Penso però che in ogni fiaba gli eroi, dopo le peripezie, devono per forza guardare il mondo con occhi diversi. Spero allora che gli operai di Porto Torres al termine del loro forzato isolamento l’osservino per davvero quel mare che circonda l’Asinara. Il mare non è solo scissione. Sognare cosa c’è al di là è stato spesso l’inizio di nuove storie.
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