lunedì 25 luglio 2011

Le vesti di Orfeo

[...] BACCA: Eppure hai pianto per monti e colline - l'hai cercata e chiamata - sei disceso nell'Ade- Questo cos'era?
ORFEO: Tu dici che sei come un uomo. Sappi dunque che un uomo non sa che farsi della morte. L'Euridice che ho pianto era una stagione della vita. Io cercavo ben altro laggiù che il suo amore. Cercavo un passato che Euridice non sa. L'ho capito tra i morti mentre cantavo il mio canto. Ho visto le ombre irrgidirisi e guardar vuoto, i lamenti cessare. Persèfone nascondersi il volto, lo stesso tenebroso impassibile, Ade, protendersi come un mortale ascoltare. Ho capito che i morti non sono più nulla.
BACCA: Il dolore ti ha stravolto Orfeo. Chi non rivorrebbe il passato? Euridice era quasi rinata.
ORFEO: Per poi morire un'altra volta, Bacca. Per portarsi nel sangue l'orrore dell'Ade e tremare con me giorno e notte. Tu non sai cos'è il nulla. [...]



BACCA: Non sai che farti della morte, Orfeo, e il tuo pensiero è solo la morte. Ci fu un tempo che la festa ci rendeva immortali.
ORFEO: E voi godetevela la festa. Tutto è lecito a chi non sa ancora. E' necessario che ciascuno scenda una volta nel suo inferno. L'orgia del mio destino è finita nell'Ade, finita cantando secondo i miei modi la vita e la morte.
BACCA: E che vuol dire che un destino non tradisce?
ORFEO : Vuol dire che è dentro di te, cosa tua: più profondo del sangue, di là di ogni ebbrezza. Nessun dio può toccarlo.
BACCA: Può darsi Orfeo. Ma noi non cerchiamo nessuna Euridice. Com'è dunque che scendiamo all'Inferno anche noi?
ORFEO: Tutte le volte che si invoca un dio si conosce la morte. E si scende nell'Ade a strappare qualcosa, a violare un destino. Non si vince la notte, e si perde la luce. Ci si dibatte come ossessi.
BACCA: Dici cose cattive...Dunque hai perso la luce anche tu?
ORFEO: Ero quasi perduto e cantavo. Comprendendo ho trovato me stesso. [...]

(Cesare Pavese "Dialoghi con Leucò")

giovedì 21 luglio 2011

Il web ricorda Genova 2001

Parlavo qualche giorno fa, di come il web abbia talvolta la capacità di rinnescare processi di memoria collettiva. Navigando in rete mi è capitato di vedere qualcosa del genere riguardo al G8 di Genova del 2001. Io ricordo Genova è un blog collettivo ideato da due ragazzi e aperto a tutti. Collegandosi è possibile consultare e inserire testi e immagini per raccontare quelle giornate di luglio di 10 anni fa.

Io nel Luglio del 2001 avevo 21 anni. Non ero lì, bensì a studiare per gli ultimi esami universitari. Ricordo la mia incredulità alle prime immagini diffuse e alle prime frammentate notizie che pervenivano: mi sembrava semplicemente un brutto sogno. Avevo sempre considerato l’Italia come un paese più incline al grottesco che alla tragedia. O forse venivo semplicemente da una generazione (per fortuna) non avvezza agli scontri di piazza, alle stragi di stato o alla repressione del dissenso. Quei giorni credo che abbiano segnato un confine per molti di noi. Per la prima si sperimentava, dopo tanto, quanto potesse essere brutale il potere con la P maiuscola, per la prima volta ci si è rendeva conto che la parola “responsabilità” non era uno scherzo, da entrambe le parti.

“Ho visto la polizia ferma come un blocco di pietra aspettare che si scaricasse l’onda aggressiva per poi sfogare le proprie frustrazioni sugli inermi. Ho visto Vittorio Agnoletto nascondersi dietro ad una foglia di fico, mentre il sangue che scorreva per le strade era anche responsabilità sua. Non organizzi una manifestazione così senza servizio d’ordine. E men che meno dopo il venerdì di morte. Se lo fai sei connivente. Se lo fai sei il novello Pietro l’eremita, pronto a portare al massacro le sue schiere. Ho sentito gridare slogan che tutto erano fuorché slogan. Erano invece parole di ragione e di saggezza, che il tempo ha dimostrato vere. Si gridava contro una globalizzazione che affama le moltitudini e arricchisce le caste. E si sentivano in risposta echi di voci, anche vicine, che ti trattavano come fossi un idealista superficiale. Eri invece l’esatto contrario. Un disilluso che riusciva a vedere questa globalizzazione per quella che è. Un mostro che divora la terra su cui poggia. Genova è una frattura insanabile. Una frattura tra chi crede che un diverso modello di sviluppo sia possibile, e chi crede che questo modello sia l’unico e l’eterno. Ora come allora.” Ricorda un utente del sito.



Genova 2001 è forse la prima volta in cui si è capito che anche se non è detto “che un altro mondo è possibile” lo è un altro modello di fare informazione. Uno dei primi episodi in cui la cronaca degli eventi è stata fatta anche dalla gente nelle strade con l’uso di fotocamere, telecamere e connessioni internet, e l’utilizzo di portali transnazionali di controinformazione (ormai quasi dimenticati) come indymedia. Uno dei primi episodi in cui l'informazione “ufficiale” si è dovuta confrontare con quella dal basso generata dagli utenti. Molte bugie sono entrate nel mainstream informativo nazionale comunque e molte permangono ancora, ma da queste esperienza nasce una nuova concezione e un’utopia di trasparenza che condurrà, quasi 10 anni dopo, nel tempo dei social network, alla realizzazione di sistemi come Wikileaks.

Genova 2001 è l’ultima volta in cui l’opinione pubblica mondiale si è dovuta confrontare con istanze come: iniqua distribuzione del reddito mondiale, economia non sostenibile, decrescita, istituzioni sovranazionali e legittimazione democratica, multinazionali e diritti globali dei lavoratori e così via. Una lezione forse ancor valida ancor oggi come ricorda qualcuno in questi giorni. Due mesi dopo, con il crollo delle Twin Towers e "il serrate le fila" nella lotta al terrorismo, queste istanze sarebbero uscite pian piano dall’agenda del dibattito globale.



Genova 2001 è infine, forse la pagina più nera per la vita democratica di questo paese da 10 anni a questa parte. Perché sprovvedutezze a parte, in nessuno stato che si definisce “di diritto” possono essere tollerati episodi come quello dell’assalto alla scuola Diaz e le sevizie nella caserma di Bolzaneto, così come gli assalti indifferenziati sui cortei e una gestione a dir poco pessima dell’ordine pubblico.

“Dieci da quando scappi e per la prima volta nella tua vita hai paura di morire. Dieci anni da quando torni a casa e scopri che il resto del mondo non sa la verità, da quando vedi una ragazza che hai conosciuto il giorno prima portato via in barella con la testa insanguinata, da quando non parli più per due giorni e scopri che non sarai più lo stesso. Poi passano dieci anni e tutto torna e non cambia niente e ti viene solo da vomitare.”

Possiamo parlare di incompetenza. O essere più maliziosi (o semplicemente più realisti) e pensare a dei mandanti politici e a una “lezione esemplare”. In entrambi i casi, come potete leggere qui , a pagare sono stati in pochi. Abbiamo avuto dieci anni per scordare i nomi dei protagonisti. Cerchiamo di non scordare cosa hanno significato.

giovedì 14 luglio 2011

L'aquila: anno 2.0 o 0.2 ?

C’è uno spazio che ho perso circa due anni fa. Uno spazio meta di tante serate, dove studiavano amici e da dove provenivano molti altri; uno spazio dove ho fatto esperienze importanti. Quando ho realizzato di averlo perso per sempre ne ero già lontano. Ora è un luogo inagibile anche per la memoria. Ecco perché mi rimane difficile parlarne.

A riportalo (virtualmente) in vita c’è ora un progetto nato circa un mese fa dalla collaborazione del motore di ricerca Google, il Comune dell’Aquila, e l’ANFE (Associazione nazionale famiglie emigrati). L’obiettivo? Ricostruire la memoria dell’Aquila a due anni dal terremoto che l’ha distrutta, usando la multimedialità e le nuove tecnologie del web 2.0. Per riscoprire una piccola parte della città e delle storie dei suoi abitanti è sufficiente entrare nel sito www.noilaquila.com e trascinare il mouse sulla cartina. Cliccando su uno dei tanti siti del centro storico, si può accedere a fotografie, video e piccole testimonianze che ricordano i singoli angoli del centro abruzzese e caricare i propri contenuti.

Qui trovate un mio articolo sull’iniziativa. Qui una fotogalleria.



“La geografia è destino” affermava Napoleone in termini geopolitici. Io credo che la geografia possa essere considerata “destino” anche in termini esistenziali. Credo che le strade che abbiamo attraversato, le case dove abbiamo vissuto, le piazze dove ci siamo fermati, ci parlino di noi e determinino quello che siamo, come poco altro sa fare. Questa è la forza del progetto: considerare la città come un gomitolo di relazioni, storie, desideri, piuttosto che come uno spazio meramente abitativo.

Le bevute e le discussioni (utopiche, stupide, arrabbiate, divertenti e spesso interminabili) fino alle prime ore della mattina in un locale che non scorderò. Il Montepulciano, gli scacchi, la musica reaggae (si proprio reggae) e i panini al formaggio. Un brindisi “alle osterie di fuori porta”. Le ragazze (o meglio le "quatrane") sul corso della città il giovedì sera. La mia mano stretta a un’altra su un sagrato dopo una notte insonne. Lo scroscio di una fontana nel freddo. Hallelujah di Jeff Buckley, una macchina spenta, due sigarette accese e la città di ghiaccio sotto: sono le prime cose che mi vengono in mente pensando a questa città. Non so se possono fregare qualcosa a qualcuno. So che io sono divertito a ricostruire la città sulle testimonianze dei suoi abitanti, cercando di sovrapporre le mie. Credo sia un bel modo di utilizzare gli strumenti del web 2.0, specie nel momento in cui molte tecnologie nate come strumenti di interazione e condivisione, si trasformano in strumenti di narcisismo e autoreferenzialità diffusa. E’ un’idea del web sana, una speranza che avevo più di dieci anni fa, quando intravedevo in questi strumenti uno strumento di narrazione ed estensione delle consuete sfere di esperienza.

Quello che certo è che nessun archivio digitale basterà mai a sanare la realtà. Il centro storico dell’Aquila a due anni dal terremoto è ancora un ammasso di detriti, un cantiere fermo. Il terremoto che l’ha distrutta è solo l’ennesima emergenza sfruttata strumentalmente per fini elettorali e presto abbandonata. Quel che resta della città lo potete vedere nel filmato sopra. Vale più di molte parole. Quel che è certo è che l'Aquila non fa più parte dell’agenda setting nazionale. Io credo che in quelle macerie si nasconda molto di più di una città che non c’è più, quanto il crollo di un’intera classe dirigente. La fine dell’ “arte di arrangiarsi” e dell’“attesa del miracolo”, attività particolarmente predilette dai miei connazionali. Credo che sia questo il suo peccato originale a due anni di distanza. E dei peccati ci hanno da sempre insegnato a non parlare. Si cerca un confessore e un assoluzione al massimo. Qualcosa di confortante per poter continuare a peccare ancora.

lunedì 4 luglio 2011

Piccolo spazio pubblicità

Vi rubo qualche minuto per promuovere un'ottima causa. Chiara disegna e vende T-Shirt e gadget su internet da un pò, che potete trovare a questo indirizzo: http://www.chiaralascura.it, un progetto nato nove mesi fa, dopo uno dei tanti italici stage, fucine legalizzate di mano d'opera a costo zero. Chiara ha cominciato a disegnare e venderle sul suo suo sito, attraverso un uso ragionato dei blog, del passaparola e dei social network, trasformando una semplice passione in un lavoro. Quello che chiede è un piccolo contributo per continuare fare quello che sta facendo. Io, da parte mia, non potrei mai perdonarmi di vederla dentro un ufficio a compilare dichiarazione dei redditi o a concepire a gratis campagne pubblicitarie di carte igeniche biodegradabili a 500 euro al mese. Quindi mi appello anche a voi. Potete farlo qui.

Primo perchè siamo fratelli, oltre che amici, qualcuno ci ha diviso alla nascita e dobbiamo ancora scovare chi è stato. Secondo perchè lei fa parte di una specie in via d'estinzione, un'artista-artigiana di quelle vere, capace di esprimere la propria creatività in più ambiti, dalla musica al disegno, dalle battute al suo matrimonio, senza tirarsela minimamente. Terzo, perchè è una persona che sa farti arrivare alla profondità con semplicità, facendoti spesso anche sorridere, e questa è davvero una prerogativa di pochi.

Aiutate Chiaralascura a crescere. Eppela project. from Chiara Meloni on Vimeo.

Piccola nota a margine. Io e Chiara, ci siamo incontrati a Firenze due anni fa per frequentare un master in Multimedia content design. E' stato un bell'anno, duro per certi versi, divertente per tanti altri, che mi ha portato a conoscere persone stupende. Io prima lavoravo come copywriter in un'agenzia pubblicitaria. La mia vera passione credo fosse la scrittura, e lo è ancora adesso (probabilmente). Credo che tutti quelli che hanno fatto questo percorso, non parlo ovviamente del corso di studi, quanto dell'approfondimento di quelli che vengono ribattezzati i new media, siano stati mossi dalla consapevolezza che gli equilibri economici, produttivi e sociali stavano inesorabilmente mutando. Non è un cambiamento privo di zone d'ombra e sicuramente non esente da problematiche. Non sarò mai un positivista, tantomeno un positivista dei nuovi strumenti di comunicazione. Molte dinamiche però stanno cambiando. Sul web oggi si pubblicano e si autoproducono e vendono libri da un milione di copie, fenomeno che al di là della qualità dell'esempio citato, costituisce un precedente interessante, capace di mettere in discussione il potere di molti gruppi editoriali tradizionali. Sul web si produce informazione indipendente, che spesso non ha nulla a cui invidiare a quella dei canali ufficiali; Fortress Europe di Gabriele Del Grande, sui migranti invisibili del Mediterraneo è il primo esempio che mi viene in mente. Nella rete si valorizzano quotidianamente musica e tendenze culturali realmente indipendenti, come nel caso dello splendido Indietravel, blog e programma radiofonico di due amici. Sono segnali importanti di vitalità, che si fanno largo tra l'overflow informativo a cui siamo quotidianamente esposti e le coltri di una struttura economico-sociale vecchia, triste e corporativa. Scorgerli è importante. Sostenerli e renderli, per quanto possibile realtà , ancora di più.