lunedì 25 aprile 2011

Buon 25 aprile a tutti

di Claudio Magris

Non è stato solo il Terzo Reich a proclamarsi e a credersi destinato a durare mille anni, anche se è durato solo dodici, meno del mio scaldabagno. Ogni potere, soprattutto ma non solo quello totalitario, ogni civiltà, ogni sistema di valori e di costumi si vogliono e si ritengono definitivi; siamo inclini a scambiare il presente, l’assetto delle cose che ci circondano, per l’eterno, qualcosa che non può cambiare. In questo senso, siamo quasi tutti ciechi conservatori, incapaci di credere che il nostro mondo— la politica, le gerarchie sociali, gli usi, le regole — possa mutare. Se nell’ottobre del 1989 qualcuno ci avesse detto che il muro di Berlino sarebbe presto caduto, lo avremmo preso per un ingenuo sognatore. Forse chi ha il senso religioso dell’eterno è più protetto dalla supina adorazione idolatrica di quel momento di tempo in cui vive e delle momentanee ed effimere forze che in quel momento appaiono vittoriose e insostituibili. Le cose invece cambiano, i muri cadono, ma l’idolatria del momento, che impone di essere «al passo dei tempi» , permane, profondamente radicata nel cuore e nella mente. Caduto il muro di Berlino che pareva eterno e con esso tutto il sistema comunista, uno studioso si è affannato a enunciare, con una celebre frase poco intelligente, che «la storia è finita» e dunque che il mondo sorto dal crollo del comunismo era quello definitivo, destinato a durare — con il suo meccanismo politico, le sue strutture economiche, il suo stile di vita — per sempre.

Semmai è vero il contrario; quel muro congelava o cercava di congelare la storia, che invece oggi è vertiginosamente instabile, imprevedibile e mutevole. Sono soprattutto le dittature — quelle «molli» che soggiogano con strumenti economici, mediatici e culturali, e ancor più quelle «dure» che s’impongono direttamente con la forza bruta — che si presentano come l’unico sistema, l’unica realtà possibile. Le dittature invece cadono e il 25 aprile ricorda la caduta di quella fascista in Italia. C’è poco da aggiungere a quanto è stato detto tante volte sull’antifascismo e sulla Resistenza, sull’imperituro significato di quest’ultima quale liberazione nazionale, sulle sue contraddizioni, sulle sue diverse e contrastanti anime, sui suoi eroismi e sui misfatti compiuti in suo nome.

Il 25 aprile simboleggia vent’anni di un’altra Italia, differente da quella del regime fascista; una resistenza che non è solo quella partigiana, ma anche quella di coloro che non si sono piegati quando un’altra Italia sembrava impossibile; di coloro che si sono opposti nettamente e clamorosamente, nella lotta clandestina, ma anche di chi, più modestamente, ha cercato di salvare il salvabile di dignità e ragionevolezza, senza eroismi ma con la capacità di non lasciarsi abbagliare dall’ «aria del tempo» , di respingere la tentazione di «marciare con la Storia» , di preservare quell’intelligenza critica che non si lascia sedurre dai belati del gregge, neanche quando sembrano ruggiti di leoni. Ogni resistenza ha una componente pasquale, di resurrezione; è un risorgere dalla morte, da quella falsa vita che si spaccia per immutabile e definitiva ossia finita e dunque morta. Anche oggi, dinanzi al dilagare di confusione, volgarità, prepotenza, corruzione, sconcezza che sommerge il Bel Paese come liquami che salgano dalle fognature, è forte la tentazione di arrendersi, di lasciarsi andare, di credere che l’andazzo disgustoso sia uno stadio ultimo, che una vera mutazione antropologica abbia creato un nuovo tipo d’uomo, un non-cittadino, e che questa specie, nella selezione darwiniana, sia fatalmente dominante.

L’indifferenza che mette in soffitta la Resistenza vera e propria e l’attentato alla Costituzione, che da essa è nata e che è la spina dorsale dell’Italia civile, sono un sintomo fra i tanti di questa involuzione morale. Ma proprio quella data insegna a non scoraggiarsi; ricorda come credere che tutto sia perduto e che non si possa più reagire sia una tentazione, stupida come lo sono in genere le tentazioni. C’è un’altra Italia possibile, rispetto a quella che oggi subiamo. Non è il caso di fare inchini al mondo così com’è e come esso pretende, anche perché, se proprio si è costretti a farlo, ci si può inchinare come Bertoldo, che si piegava davanti ai potenti, ma voltandosi dall’altra parte.

("25 Aprile: un antidoto all'indifferenza" dal Corriere della Sera del 24/04/2011)


giovedì 14 aprile 2011

Tra le storie di ieri

Un’Italia fatta di stracci e nebbie, di dita sporca e sante processioni, un Paese di mura diroccate e bambini che guardano altrove. Qui un mio articolo sulla (bella) mostra dove potete ancora avvistarla. Sotto, la colonna sonora.

sabato 9 aprile 2011

Due o tre segnalazioni

Poco tempo per scrivere. Sono giornate intense fra lavoro e impegni. Roma si sveste e oltre al traffico e ai soliti, estenuanti ritardi dei mezzi, si rivede il cielo. Non è una città facile Roma. Specialmente se non sei nato qui. Tutto si arrampica verso l'alto, dalle case alle chiese, ai resti di un passato che continua a sovrapporsi al presente. Ma questo cielo io l'ho visto solo qui. Un largo corridoio che sa proiettarti in un istante lontano. Una ferita che sa di "altrove". Cammino per il "Quadraro", il mio quartiere. Alberi fioriti, il macellaio con su Bob Marley, italianissime nonne mano nella mano con bei bambini dai tratti orientali o africani, acquedotti romani e colline in lontananza. A breve lo abbandonerò e penso che (inaspettatamente) mi mancherà molto.

Tornerò con più convinzione su queste pagine. Qui intanto trovate un mio raccontino e un'iniziativa interessante del Ponticello, che tra una birra e un campari, spero torneremo a distribuire presto.

Qui la bella iniziativa di un'amica. E' una sorta di "diario dal mondo", un quaderno di appunti multimediale per condividere pensieri e sensazioni, ovunque vi troviate. Una bella idea, specie per chi ha molti amici sparsi. Potete partecipare tutti, sia alla prima che alla seconda.

Sotto infine trovate una bella canzone. Primo perchè poche cose sono più sensuali della voce di Nada. Secondo perchè la chitarra di Zamboni ha accompagnato la mia adolescenza. Terzo perchè oggi mi ispira un senso di serenità, tra le luci che si accendono pian piano lì fuori. A presto.