Torno ancora lì quando posso. Meglio se lontano dall'estate, senza turisti nè altoparlanti gracchianti. Torno perchè lì sono i miei affetti, qualche piccola radice, qualcosa che il vento non tocca. Ricordo di un inverno passato ad addormentarmi tra i treni di passaggio e il mare, gli unici rumori presenti, i migliori, dopo una giornata di lavoro. Mi sentivo completamente solo, non ne avevo nessuna paura. Chiudevo gli occhi: "Sto seminando" mi dicevo. Non sapevo di cosa si trattasse, ma sapevo che da quel volontario isolamento stava rinascendo qualcosa.
Tutte quelle volte che ho sentito di non avere troppa terra sotto ai piedi, ho cercato di tenere a mente quel pezzetto di mare. Quel mare stupido, quell'acqua che sembra riflettere sempre e solo l'immagine di te stesso per non portarti mai a nulla. Lì mi sono specchiato, lì ho provato a osservarmi per la prima volta. L'odore salmastro dopo una giornata di pioggia e la stessa sensazione: non si è mai prigionieri finchè si riesce a concepire un "altrove". Non importa se dorma al tuo fianco, sia incagliato nell'altra parte del mondo, esista solo nella tua testa o ti sorprenda tra i quattro accordi di una canzone come questa.
"Will I see you give, more than I can take? Will I only harvest some? As the days fly past will we lose our grasp, Or fuse it in the sun?" canta Neil. Me lo chiedo anche ora. Quelle poche volte che sono stato così fortunato da chiedermelo, penso, stavo già raccogliendo qualcosa.
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