mercoledì 3 novembre 2010

Tra le rughe di Dorian Gray (O tra pelo e buoi)

Ho davanti una vecchia signora imbellettata. Si veste trendy, cool, à la page (altri aggettivi fighetti trovateli voi). Usa frasi giovanilistiche, compete con giovani tronisti e soubrette, ama proferire volgarità e anche ammantarsi di vestiti sottili e scollature in presenza di telecamere, se vi va. Mi metto a ridere. Avverto che quella signora è il contrario di ciò che dovrebbe essere. Poi rifletto. Penso che quella signora probabilmente non prova più piacere nel mostrarsi in questo stato, ma che anzi forse ne soffre. Sento (non avverto, attenzione) che quella signora è il contrario di quello che dovrebbe essere. Vi suona famigliare? E’ una metafora e non è mia. E’ , con qualche piccola-grande variazione formale, la metafora che Pirandello usava per spiegare la differenza fra comico e umoristico. Se avverto sono nel comico, se sento (opzione 2), sono nell'umoristico. Nello sfogliare le prime pagine dei giornali di questi giorni mi è ritornata in mente . Lasciamo perdere la drammaticità e gli aspetti legali. C’è qualcosa di profondamente umoristico in queste cronache da basso impero, che non può affiorare.

Pensare che l’ultima sparata di Berlusclown sia frutto di demenza senile, impotenza sessuale o abbagli da mix coca-viagra e via dicendo è puro ottimismo. Io credo semplicemente che riflettano il modello di comunicazione che usa da quindici anni (ma anche oltre a questa parte). Non lo deduco dalle affermazioni. Lo deduco dalle risposte. Apro Facebook e leggo su molti profili la frase “Meglio gay, che Berlusconi”. Che implica questa forma?
Implica innanzitutto il termine Berlusconi come metro di paragone , pietra miliare dal quale tracciare vizi, inclinazioni e virtù. In secondo ordine la formula “meglio” implica un peggio, quindi relativizza una condizione che di per sé non dovrebbe comportare ne positività, né negatività. Innesca una forma di linguaggio di per sé inquinata quindi. E questa non è un’eccezione. E’ un paradigma lungo almeno quindici anni.



Allora penso che la più grande vittoria di Berlusclown è stata quella di dettare quello che nelle comunicazioni di massa si chiama agenda setting, l’agenda degli eventi (gli sfigati comunicatori come me capiranno, per tutto il resto c'è wikipedia). La dialettica che sottintende molti dei nostri discorsi. La sua abilità è stata quella di minare la superficie stessa del nostro linguaggio.
Ci ha inglobato dentro il suo cinepanettone semantico. Qui non possiamo più vederlo. Non possiamo vedere un vecchio settantenne liftato all’inverosimile, con ricrescite miracolose di capelli, che fa finta di essere un aitante ventenne. Non possiamo sentire il contrario. Come non potevano sentirlo le folle radunate sotto Palazzo Venezia, mentre un uomo dalle buffe movenze gesticolanti additava la rinascita di un impero. Chi gli si contrappone sembra semplicemente un vecchio trombone. Moralista, pedante, palloso. Quasi democristiano nel richiamo alla sobrietà e ai “valori istituzionali”.

Tocca un punto sensibile il Berlusclown. Chi si occupa di comunicazione (ma semplicemente ogni persona dotata di buon senso) sa benissimo cosa tira di più fra un pelo e un carro di buoi. Non sono un moralista. Ho le mie opinioni, ma il fenomeno lo trovo scontato, arrivato a questa veneranda età. Non me la sento di appellarmi al decoro (E' ragionevole piuttosto appellarsi alla legalità o a quello che ne rimane, nel caso di minorenni o abusi di potere, per quello che vale). E chi lo fa ha già perso.

Il problema vero è che qui tra il pelo e i buoi, ci sono tante, troppe cose. C'è chi a 30, 40 o 50 anni non ha un lavoro e si sente da buttare. Chi ce l'ha e non sa cosa farà domani. C'è chi muore in carcere. C'è il taglio del 90% delle borse di studio universitarie. C'è chi è discriminato ogni giorno. Magari perchè è albanese. Magari perchè viene pestato in una ridente periferia italiana per orientamenti politici, sessuali o esistenziali. Magari perchè abita al sud e si è messo in testa l'insana idea di pretendere legalità, nonostante nessuno sappia più cosa significhi questa magica parolina. Magari perchè non può studiare o perchè non ha gli "agganci giusti" per avviare una carriera o trovarsi un lavoro. O semplicemente perchè ha un figlio e sa che non potrà mai garantirgli un futuro. E allora? E allora raccontateci (e raccontiamoci) un'altra storia. La storia di quel gran pezzo d'Italia dimenticato tra il pelo presidenziale e i buoi del così non si fa (che "così non si fa" lo sappiamo tutti da quasi venti anni). Toccherebbe provare riappropriarsi del linguaggio. Stare attenti, molto attenti ai significati.



Ma basterebbe forse ricominciare a farci domande. Nel blog di un amico, ne ho trovate alcune. Ognuno ha le sue. Inespresse. Inascoltate da quasi ogni media di massa. Da pressochè ogni partito di questo magico arco costituzionale. Ogni risposta che si riesce a fornire è l'incipit di una storia nuova. Un passo verso la magica trasformazione di un puttaniere supereroe in un vecchio col cerone, con la pelle così tirata da serrare, ma non sconfiggere il tempo che passa. Che passa per tutti. Anche per i totalitarismi basati sulle barzellette e le operette di appendice.

Ogni risposta a una domanda reale per la nostra vita e per quella di chi ci sta intorno è un passo in avanti verso un il fermo-immagine di un vecchio che non può accettare gli ovvi problemi relativi alla virilità persa. Verso la descrizione della signora citata da Pirandello, in un bel saggio che ho quasi scordato. Una ruga in più nel volto di quel Dorian Gray padrone della nostra paralisi.

10 commenti:

  1. "Toccherebbe provare riappropriarsi del linguaggio. Stare attenti, molto attenti ai significati."
    APPLAUSI A SCENA APERTA!! :)

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  2. Ho paura che per riappropriarsi del linguaggio tocchi spezzare un cerchio molto rigido. Per dismettere il linguaggio della tv, bisogna parlarne un altro che non si impara spontaneamente, ma richiede esercizio, studio, voglia di imparare. Come si può riattivare il circuito sano della parola, quella vera?

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  3. Ciao. Sono parzialmente d'accordo con quello che dici. E' vero, bisognerebbe rompere un cerchio. Ma mi aspetterei un pò più di attenzione almeno da chi le parole le usa ogni giorno e vorrebbe contrastare questo universo semantico. Le parole sono importanti. Racchiudono larga parte della nostra sfera d'esperienza.
    Ti faccio un esempio:l'altro giorno cammino per Roma e vedo dei ragazzi con fare pacchiano e telecamere, che girano un corto "contro il bunga bunga" per esempio. Penso appartenessero a qualche gruppo politico. Era una roba seriamente raccappricciante e grottesca.Un pò come contrastare la guerra cantando un'ode alle baionette. Ho provato a darmi dei pizzicotti poi ho capito che ero sveglio e ho lasciato stare.
    Idem per quanto riguarda un cartello dell'IDV intitolato l'evoluzione della specie. Si finisce con un fotomontaggio Berlusconi-Gheddafi e la scritta "Bunga Bunga". Non riesco mai a rassegnarmi facilmente all'imbecillità. E' un difetto.
    Comunque questi sono piccoli esempi di quanto ho provato ad affermare sopra.

    Grazie per la lettura. A presto ;-)

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  4. .Entrai a Ipazia un mattino, un giardino di magnolie si specchiava su lagune azzurre, io andavo tra le siepi sicuro di scoprire belle e giovani dame fare il bagno: ma in fondo all’acqua i granchi mordevano gli occhi delle suicide con la pietra legata al collo e i capelli verdi d’alghe. Mi sentii defraudato e volli chiedere giustizia al sultano. Salii le scale di porfido del palazzo dalle cupole più alte, attraversai sei cortili di maiolica con zampilli. La sala nel mezzo era sbarrata da inferriate: i forzati con nere catene al piede issavano rocce di basalto da una cava che s’apre sottoterra. Non mi restava che interrogare i filosofi. Entrai nella grande biblioteca, mi persi tra scaffali che crollavano sotto le rilegature in pergamena, seguii l’ordine alfabetico d’alfabeti scomparsi, su e giù per corridoi, scalette e ponti. Nel più remoto gabinetto dei papiri, in una nuvola di fumo , mi apparvero gli occhi inebetiti d’un adolescente sdraiato su una stuoia, che non staccava le labbra da una pipa d’oppio. -Dov’è il sapiente?- Il fumatore indicò fuori dalla finestra. Era un giardino con giochi infantili: i birilli, l’altalena, la trottola. Il filosofo sedeva sul prato. Disse: - i segni formano una lingua, ma non quella che credi di conoscere -. Capii che dovevo liberarmi dalle immagini che fin qui m’avevano annunciato le cose che cercavo: solo allora sarei riuscito ad intendere il linguaggio di Ipazia. Ora basta che senta nitrire i cavalli e schiocchiate le fruste e già mi prende una trepidazione amorosa: a Ipazia devi entrare nelle scuderie e nei maneggi per vedere le belle donne che montano in sella con le cosce nude e i gambali sui polpacci, e appena s’avvicina un giovane straniero lo rovesciano su mucchi di fieno o di segatura e lo premono con i saldi capezzoli. E quando il mio animo non chiedo altro alimento e stimolo che la musica, so che va cercata nei cimiteri: i suonatori si nascondono nelle tombe; da una fossa all’altra si rispondo trilli di flauti, accordi d’arpe. Certo anche a Ipazia verrà il giorno in cui il solo mio desiderio sarà partire. So che non dovrò scender al porto, ma salire sul pinnacolo più alto della rocca ed aspettare che una nave passi lassù. Ma passerà mai? Non c’è linguaggio senza inganno.

    Ile

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  5. .Entrai a Ipazia un mattino, un giardino di magnolie si specchiava su lagune azzurre, io andavo tra le siepi sicuro di scoprire belle e giovani dame fare il bagno: ma in fondo all’acqua i granchi mordevano gli occhi delle suicide con la pietra legata al collo e i capelli verdi d’alghe. Mi sentii defraudato e volli chiedere giustizia al sultano. Salii le scale di porfido del palazzo dalle cupole più alte, attraversai sei cortili di maiolica con zampilli. La sala nel mezzo era sbarrata da inferriate: i forzati con nere catene al piede issavano rocce di basalto da una cava che s’apre sottoterra. Non mi restava che interrogare i filosofi. Entrai nella grande biblioteca, mi persi tra scaffali che crollavano sotto le rilegature in pergamena, seguii l’ordine alfabetico d’alfabeti scomparsi, su e giù per corridoi, scalette e ponti. Nel più remoto gabinetto dei papiri, in una nuvola di fumo , mi apparvero gli occhi inebetiti d’un adolescente sdraiato su una stuoia, che non staccava le labbra da una pipa d’oppio. -Dov’è il sapiente?- Il fumatore indicò fuori dalla finestra. Era un giardino con giochi infantili: i birilli, l’altalena, la trottola. Il filosofo sedeva sul prato. Disse: - i segni formano una lingua, ma non quella che credi di conoscere -. Capii che dovevo liberarmi dalle immagini che fin qui m’avevano annunciato le cose che cercavo: solo allora sarei riuscito ad intendere il linguaggio di Ipazia. Ora basta che senta nitrire i cavalli e schiocchiate le fruste e già mi prende una trepidazione amorosa: a Ipazia devi entrare nelle scuderie e nei maneggi per vedere le belle donne che montano in sella con le cosce nude e i gambali sui polpacci, e appena s’avvicina un giovane straniero lo rovesciano su mucchi di fieno o di segatura e lo premono con i saldi capezzoli. E quando il mio animo non chiedo altro alimento e stimolo che la musica, so che va cercata nei cimiteri: i suonatori si nascondono nelle tombe; da una fossa all’altra si rispondo trilli di flauti, accordi d’arpe. Certo anche a Ipazia verrà il giorno in cui il solo mio desiderio sarà partire. So che non dovrò scender al porto, ma salire sul pinnacolo più alto della rocca ed aspettare che una nave passi lassù. Ma passerà mai? Non c’è linguaggio senza inganno.

    Ile

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  6. che poi l'ha detto un tal Italo

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  7. Stupendo Ile. Mi vergogno a rispondere all'intervento, come fai a rispondere alla poesia? Comunque banalizzando e stuprando terribilmente il testo dico questo: Calvino si riferisce al carattere enciclopedico del linguaggio, che si rifà semioticamente a Pierce ed Eco (sul quale sono d'accordo). Io mi riferivo alla pragmatica del linguaggio (non all'ontologia), quello che Manzoni chiamava "Latinorum" nei promessi sposi per intenderci. Il nuovo "latino" è la formulazione di affermazioni e forme linguistiche volte a svuotare quello che diciamo e affermiamo ogni giorno. Il potere non si afferma più impedendo l'accesso alle informazioni (esempio uso di lingua colta) ma facendo smarrire le persone in una rete di significati contradditori,banalizzando e limitando la gamma delle possibilità ecc.ecc. E' una mia idea, e non so se l'ho spiegata molto bene. Detto ciò mi scuso con Calvino e con quel magnifico libro al quale il titolo di questo blog è ispirato.

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  8. vabbè a parte che ho citato Calvino 1: per pavoneggiarmi 2: per far riferimento ai significati contraddittori e molteplici e allo stesso tempo al titolo stupenderrimo del blog... c'è una cosa che non ho capito della risposta. Premetto che non ho le tue conoscenze, (forse ce le avevo ma l'ho rimosse) per questo da ignara ti chiedo: ma se i 'nuovi linguaggi' o meglio la lingua pragmatica (da praxis?) oggi offre una rete di significati contraddittori, in che senso (appunto) poi scrivi 'limitando la gamma delle possibilità'? Non deriva proprio dalla sovrabbondanza di possibilità e dalla complessità cresciuta la confusione in cui viviamo. In soldoni: non ti sembra una contraddizione? non è una critica, è una domanda che avrei fatto tipo... alla maestra, alle elementari e se ci fai caso è formulata con gli stessi errori sintattici che avrei fatto alle elementari.

    SALUTI DA GORGIA

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  9. Premesso che fra poco mi spuntano gli occhiali e i brufoli di Micah P.Hinson, mi riferivo a questo: http://it.wikipedia.org/wiki/Pragmatica, in altro senso è vero che tutto si è fatto più complesso e questo limita i processi di denotazione standard della serie "a significante segue significato". Ma se ciò è vero in senso largo (ovvero la lingua funziona così), questo processo di "espansione della contraddittorietà" può essere usato anche strumentalmente. Lasciamo stare Berlusconi, prendi l'espressione "guerra umanitaria" che conseguenze ha? Per me ha la conseguenza di sminuire pesantemente il significato di "guerra", introducendo la contraddittorietà, espandendo le possibilità semantiche della parola "guerra", facendola differire di molto dalla denotazione di base. Di esempi ce ne sono a pacchi. Bunga Bunga era una punizione interetnica africana, in Italia un ritornello canzonatorio, fai un pò te...

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  10. Bravo!
    cmq se vuoi digita "Eco Lyala" è una bella spuegazione (anche simpatica) della comunicazione nella nostra epoca. se lo trovi su internet fammi sapere

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