Non scrivo da un po’. Questo inverno ha significato tante cose, oltre al paio di mani ben screpolate che battono su una tastiera. Tra le tante cose porto con me un libro. Lo porto solo in mente, perché in realtà l’ho lasciato nel pulman che mi riportava a casa. Forse è un segno. Immagino che sia tra le mani di qualcun altro adesso. Qualcuno che sappia amarlo almeno quanto ho fatto io.
Il libro parla di un mondo agonizzante e di un cammino. Di una strada che condurrà i due protagonisti verso la salvezza, o forse verso nulla. Non c’è niente che renda appetibile l’esistenza. Una larga apocalisse, della quale non riusciamo a intuire la causa, ha sconvolto completamente le basi della vita sul pianeta. La terra è una fredda landa senza più sole, né cibo; una landa dominata da tempeste di cenere e bande di predoni cannibali. Perchè camminare? Ha senso sopravvivere a queste condizioni? Se lo chiede anche il protagonista. La risposta è nei passi che lo succedono, i passi di suo figlio. Non c’è scelta. Perché il significato della “strada” va oltre la sua stessa esistenza. L’uomo è l’ultimo punto di una retta che contempla punti innumerevoli. Il punto successivo è costituito dai passi che lo succederanno. Continuerà a camminare verso sud nella speranza di “sole e temperature miti”. Nel sogno di un’umanità diversa. Un’umanità che probabilmente solo suo figlio conoscerà. Lui è il futuro. La storia è nei suoi passi. In un’esistenza ridotta alla primordialità è questa l’unica certezza che rende indispensabile il cammino.
Siamo immersi in tante ossessioni e tabù, dei quali non riusciamo più ad accorgerci. Fino a quando un morso non ci risveglia. L’arte serve anche (e soprattutto) a questo. Il romanzo ha fra i tanti pregi quello di darci questo morso: infrangere il tabù dell’individualismo totalizzante. Senza retorica. Senza troppe concessioni al buonismo. Ha il pregio di ricordarci che le nostre vite possono avere un significato che va oltre le nostre individualità. La “Fine della storia” tanto celebrata nei primi anni di questo secolo, oltre alla fine della dialettica fra le forze sociali, conteneva anche questo: la fine di una progettualità che travalicasse le nostre esistenze e il culto dell'immediato. Uno scenario comodo per un determinato assetto economico e politico, sul quale non intendo soffermarmi. Il romanzo è invece una sorta di grido d’amore. E’solo questo amore che è capace di rimettere in moto il tempo.
Anche questi giorni assomigliano talvolta una sorta di universo post-apocalittico, quantomeno dal punto di vista politico, etico, sociale, culturale.
Ogni "pagina vera" è uno spiraglio verso un altro universo. Occhi nuovi per osservare quello che hai attorno. Da queste pagine porto con me la speranza di una strada. Di un sentiero da percorrere fino in fondo. Di un cammino da non percorrere necessariamente solo.
P.S. = Avete indovinato il libro? Non è così difficile